L’analisi del Prof. Philip Jaffé.

“La Svizzera è uno degli ultimi quattro paesi dell’Europa occidentale che non ha ancora vietato espressamente le punizioni corporali in tutti i contesti della vita del bambino, compresa la famiglia. Gli altri tre paesi sono il Belgio, Monaco e il Regno Unito (tranne la Scozia). Tutti gli altri paesi hanno una disposizione inserita nella legge, di solito nel codice civile, che proibisce “chiaramente e incondizionatamente” la punizione corporale contro i bambini.

 

Ciononostante, molto recentemente il nostro paese si sta muovendo verso un divieto. Infatti, il 20 dicembre 2020, il Consiglio federale, dopo molteplici rifiuti, ha dovuto piegarsi alla volontà del Parlamento e si è dichiarato pronto a esaminare in un rapporto come completare il Codice civile con un articolo che garantisca ai bambini il diritto a un’educazione senza violenza. Si tratta di un passo da gigante, che in Svizzera è piuttosto millimetrico. Ci vuole tempo per redigere un rapporto dettagliato. Ma siamo sulla buona strada. Ci sono lunghi ritardi e molte insidie, compreso il rischio di un’opposizione politica sotto forma di referendum.

 

Tre anni fa ho fatto una previsione. Quando la Svizzera avrà una legge, sarà così: “I bambini hanno diritto ad un’educazione non violenta. Punizioni corporali, maltrattamenti psicologici e altre misure degradanti sono illegali [Kinder haben ein Recht auf gewaltfreie Erziehung. Körperliche Bestrafungen, seelische Misshandlungen und andere entwürdigende Massnahmen sind Unzulässig]” (§ 1631 Abs. 2 BGB). Questa è la legge tedesca del 2000. Sono già 21 anni che il nostro grande vicino del nord ha vietato la sculacciata.

Ma affinché una tale legge sia efficace e vada davvero a beneficio dei bambini del nostro paese, bisognerà lavorare a monte. Chiaramente, gli ambienti dell’infanzia con un sostegno politico dovranno sviluppare strategie educative per cambiare gli atteggiamenti dei genitori.

 

Questo richiede tempo, ma il tempo è un alleato degli svizzeri e possiamo trarre ispirazione dalla Svezia, che ha vietato la sculacciata nel 1979 e dove oggi solo il 5% dei genitori ritiene che le punizioni corporali debbano far parte del loro arsenale educativo. In Svizzera il numero di genitori è da 4 a 5 volte superiore.

 

La ricerca scientifica è molto chiara. Proibire per legge ha un valore simbolico ma non cambia il comportamento. Sensibilizzare il pubblico e i genitori senza una legge non serve a molto. Divieto e consapevolezza devono essere combinati. Infine, la Svizzera non è un paese come gli altri. Siamo un tipico esempio di GloCal. Pensiamo a livello globale, ma agiamo a livello locale. Le iniziative che determineranno la velocità del cambiamento devono essere cantonali. Siamo un popolo i cui clan sono raggruppati in cantoni. Il Consiglio federale produrrà un rapporto, il Parlamento legifererà. Ma tutto questo non avrà alcun effetto senza la mobilitazione di Basilea, Ginevra, ovviamente il Ticino, e la maggioranza degli altri 23 cantoni.

 

Un’ultima parola. Vi posso assicurare che la Svizzera sarà confrontata con la sua tolleranza delle punizioni corporali quando apparirà davanti al Comitato dell’ONU sui diritti del bambino nel 2022. Naturalmente mi asterrò, perché questo è richiesto quando si esamina il proprio paese, ma ho due o tre colleghi che stanno già preparando domande puntuali per la delegazione svizzera. Dobbiamo accettare che la violenza educativa è una grave violazione dei diritti del bambino e, come ci ricorda il famoso medico e pedagogo Janusz Korczak, occorre: “Non dimenticare mai come batte il cuore di un bambino che ha paura”.

 

Contributo del professor Philip Jaffé, membro del Comitato per i Diritti del Bambino all’ONU dal 2019, Dottore in Psicologia, Professore all’università specialista in Psicoterapia FSP e in Psicologia legale FSP (Ginevra).

 

Traduzione dal francese a cura di Anna Vidoli.