La tragedia della bambina di 10 anni morta per asfissia dopo aver partecipato a una challenge su TikTok ha sconvolto giovani e adulti. Paura, incredulità, sconcerto, tristezza… sono solo alcune delle emozioni che questa tragica notizia ha suscitato.
Anche alle nostre latitudini sembrano circolare sfide analoghe, come per esempio una in cui i ragazzini si competono tra loro con pericolosi lanci dalle cabinovie. Una riflessione su questa rischiose sfide va fatta ed è importante dare un quadro chiaro su cos’è TikTok e come funziona.

Nel 2006 in Cina viene lanciata la piattaforma Musical.ly. Nel 2018, dopo una fusione con Bytedance, viene lanciata TikTok. La piattaforma permette di realizzare meme, (imitazioni di scene di film, tv o personaggi famosi) balletti e molto altro e attualmente conta più di 1 miliardo di utenti. L’applicazione è molto apprezzata dai giovanissimi, anche se l’età d’iscrizione prevede un limite di 13 anni… ma come sappiamo moltissimi bambini la utilizzano correntemente.

Possiamo dire che questa applicazione ha fatto centro, perché risponde a molti bisogni, o presunti tali, per bambini e adolescenti che trovano in TikTok un mezzo per esprimersi, affermarsi socialmente, mostrarsi, essere gratificati. Ma purtroppo non c’è solo questo. Il risvolto negativo della medaglia non è solo legato ad una sovraesposizione mediatica dei minori, bensì anche a rischi come il cyberbullismo e all’emulazione di comportamenti adultizzati, sessualizzati e, come in un questo caso, estremamente pericolosi.

 

Facendo un passo indietro, forse alcuni di voi si ricordano di quando, da giovani, cantavamo e ballavamo davanti allo specchio. La nostra immagine poteva piacerci o meno, lo specchio ci rimandava ciò che vedevamo, senza nessun giudizio di sorta. Ora i ragazzi si esprimono, anche in modo creativo, attraverso uno schermo e vengono interfacciati da miliardi di altri utenti che interagiscono, che giudicano, che commentano, che comunicano.

 

L’adolescente ha bisogno del confronto con i pari, ha bisogno di misurarsi, di trovare la sua identità. TikTok, come moltissime altre applicazioni, è diventato un canale preferenziale in cui i ragazzi si confrontano, con chiare implicazioni a livello di autostima. Una ricerca italiana pubblicata sul portale Skuola.net[1], su un campione di oltre mille ragazzi di scuola media e media superiore, ha indicato che uno studente su dieci è a conoscenza del “Blakout game” (tramite letture sul web 28%, tramite video postati sui social 23%, mentre al 20% dei giovani è stato raccontato da amici). Tra i ragazzi informati, uno su cinque ci avrebbe provato personalmente. Il dato preoccupante, che deve farci riflettere, considera le motivazioni che hanno portato questi ragazzi a partecipare a questa Challange: dai dati emerge infatti che il 56% indicava di voler realizzare un video virale che potesse raccogliere molte visualizzazioni, per l’8% è stato un modo per divertisti in maniera diversa e un’altra percentuale pari all’8% ha indicato di averlo fatto per non andare a scuola e infine il 4% dice di averlo fatto per provare la sensazione di incoscienza promessa. Questo dato è estremamente preoccupante, perché indica quanto sia diventato importante per giovani e giovanissimi essere visti, essere seguiti, ricevere “like” indipendentemente dal rischio che si può correre.

 

Anche attraverso le attività di prevenzione ASPI proposte a scuola elementare e scuola media, notiamo un uso sempre più diffuso e generalizzato delle tecnologie: TikTok in particolare suscita molto interesse ed entusiasmo… provate a citare Charlie D’Amelio o Addison Rae alle ragazze e vedrete tanti occhi illuminarsi! Queste giovani “TikToker”  (stiamo parlando di ragazzine di 16 anni) sono seguite da oltre 100 milioni di follower e hanno un guadagno annuo che sfiora i 4 milioni di dollari. Nella mente di bambini e adolescenti, il ragionamento popolarità = visualizzazioni = uguale fama e guadagno, è presto fatto.

È importante sfatare questa associazione, renderli attenti sulle implicazioni che un video postato può avere: certamente si possono raccogliere dei “like”, dei commenti positivi ma non solo…. non sono poche le testimonianze di ragazze e ragazzi vittime di cyerbullismo, di offese sulla loro fisicità, che vedono intaccata la loro autostima fino a situazioni di grande sofferenza.

 

Noi adulti abbiamo una grande responsabilità. Dare in mano un cellulare a un bambino o a un adolescente di 11-12 anni ha molte implicazioni, non solo di tipo psicologico ma anche a livello di sviluppo cerebrale. Le neuroscienze negli ultimi anni hanno fatto luce sul fatto che un utilizzo precoce e assiduo delle tecnologie (videogiochi compresi), possa condizionare lo sviluppo del cervello. Secondo i ricercatori, l’uso dei social network attiva un’area del cervello (nucleus accumbens) coinvolta nei fenomeni di ricompensa, le stesse aree che svolgono un ruolo nei meccanismi di dipendenza dalle droghe (Meshi, 2012). [2]

Psicoterapeuti come Alberto Pellai, pediatri come Serge Tisseron, affermano in modo chiaro che prima dei 12/14 anni i ragazzi non posseggono le strutture cognitive necessarie per poter gestire tutto ciò che si trova dentro a uno Smartphone.

 

Dobbiamo chiederci: possedere il cellulare è davvero così importante per un bambino, ragazzino? I ragazzi probabilmente risponderanno di sì; per noi adulti è importante fare un bilancio tra benefici e rischi. È sicuramente faticoso non assecondare una richiesta, dire di no, non permettere a un ragazzo di avere il cellulare quando tutti sembrerebbero averlo.

Dire di no comporta delle discussioni e la presenza dei genitori, ma abbiamo la possibilità di argomentare le nostre scelte e dar loro delle motivazioni plausibili. Inoltre, la legge stabilisce dei limiti d’accesso chiari: l’adesione alle reti sociali (come TikTok, Instagram, Facebook, ecc. ) non sarebbe possibile prima dei 13 anni.

 

Decidere di regalare uno Smartphone a un minore deve implicare un continuo monitoraggio, una continua supervisione e soprattutto un dialogo costante su ciò che fanno e ciò che vivono in quel mondo – dando loro degli strumenti per agire e reagire in modo efficace e adeguato. Ciò significa riflettere insieme ai ragazzi sulle conseguenze dei propri comportamenti online, su cosa suscita loro ciò che vedono, quali sono le motivazioni che li portano a pubblicare un video o una foto, a chi vorrebbero mostrarla e cosa vorrebbero raggiungere. Fondamentale è creare un tipo di rapporto con loro che dia loro la possibilità di parlare di ciò che gli capita e di ciò che vedono, di parlare delle loro emozioni e dei loro vissuti.

Emulare una TikToker famosa, uno Youtuber o un/a compagno/a che ha pubblicato un video “estremo” può essere estremamente pericoloso. Sviluppare uno spirito critico, un’etica improntata sul rispetto di sé e degli altri dev’essere una prerogativa.

Educhiamo i bambini e i ragazzi con l’esempio, assumendoci noi per primi la responsabilità per il loro benessere. Insegniamo a loro proprio questo: ad essere responsabili di ciò che facciamo affinché possano diventare consapevoli nelle loro scelte.

 

 

 


[1] https://www.skuola.net/news/social-trend/challenge-pericolose-non-accettare.html

[2] https://m4.ti.ch/fileadmin/DECS/DS/Rivista_scuola_ticinese/ST_n.323/ST_323_pellegri_internet_ci_cambia_il_cervello.pdf