Tutte le volte che ho pensato “non ce la posso fare”, da qualche parte dentro me si è svegliata una piccola grande forza, forse assopita: una strana sensazione mista orgoglio e coraggio, che mi ha spinta a lanciarmi nella sfida, per superare il momento … per poi – a conti fatti – scoprire di essere in grado di farcela eccome!

A pensarci bene, fin da piccola è stato così.

Avevo forse cinque anni. I miei genitori mi avevano appena regalato una bella graziella rosa, con tanto di cestino bianco sul manubrio. Si trattava “solo” di imparare ad andare in bicicletta senza rotelle!

Mi ricordo le pedalate nel parcheggio delle vecchie PTT di Viganello un pomeriggio di settembre: mio papà che teneva in piedi la bicicletta sorreggendola dal porta pacchi e io cocciuta che cercavo di “prendere il volo”, finendo inevitabilmente per terra, fino a scoppiare in lacrime: “papà, basta, non ce la farò mai!”.

E lui che mi diceva “certo che ce la farai! Tutti imparano ad andare in bicicletta prima o poi: serve solo un po’ di allenamento e provare e riprovare. Salta di nuovo in sella: non mollare ora!”. Ma dopo un pomeriggio di tentativi, nella mia testa avevo finito per metterci una pietra sopra.

Poi accadde che una domenica andammo a trovare mio cugino, più piccolo e spericolato di me. Mi ricordo la scena: eravamo sotto casa sua, nel cortile della palazzina, e lui e tutti i suoi amichetti sfrecciavano sulle loro biciclette, senza rotelle. Al che mi dissi: “eh no, se ce la fanno loro – che sono pure più piccoli di me – ce la posso fare anche io”. Eccolo l’orgoglio e il coraggio fare capolino tra i miei pensieri. Fu così, che fattami prestare la bicicletta di un bambino, salii in sella e via… incredibilmente i pedali iniziarono a girare e io a sfrecciare come tutti gli altri.
Che sensazione l’avercela fatta! Come mi sentii bene e fiera di me quella volta!

 

Volere è potere!
Basta crederci!
Hai tutte le carte in regola per riuscirci!

 

Quante volte ci siamo sentiti dire queste frasi? Quante volte siamo ricorsi noi stessi a quelli che ci possono sembrare dei luoghi comuni per incoraggiare i nostri figli o allievi?

Alcuni teorici, uno su tutti Bandura (psicologo canadese autore del saggio “Autoefficacia: teoria e applicazioni”), spiegano il concetto di autoefficacia come un insieme di credenze su se stessi che condizionano notevolmente le prestazioni di ciascun individuo: ritenere di poter avere successo in un’attività rende la riuscita più verosimile.

 

La protagonista della nostra storiella iniziale ad un certo punto – incoraggiata forse dal papà che non ha mai smesso di credere nelle sue capacità e confrontata con l’osservazione diretta dell’esperienza fatta da altri bambini – si convince di poter salire in sella e iniziare a pedalare senza rotelle. E in effetti – quasi per magia – ce la fa! Siamo nel campo dell’autoefficacia.

 

Secondo Bandura, l’origine e lo sviluppo dell’autoefficacia è determinata da quattro fonti principali:

  1. L’esperienza personale e diretta
    (in passato ci sono riuscito?)
  2. Lo stato fisiologico ed emotivo
    (sono fiducioso e fisicamente in forma?)
  3. L’osservazione delle esperienze di altre persone
    (altri ci sono riusciti? Se ci sono riusciti loro, ce la farò anche io?)
  4. La persuasione sociale
    (sono incoraggiato da persone soggettivamente importanti e autorevoli per me?)

Le prime due fonti sono personali, le ultime due provengono invece dal contesto del bambino: la famiglia, la scuola, gli amici e per esempio altre persone presenti negli ambiti del tempo libero (sport, ecc.)

 

Autoefficacia e autostima: concetti affini ma diversi.

Sebbene i due concetti siano affini e si supportino a vicenda, l’autoefficacia non è da confondersi con l’autostima. Indispensabili entrambi per permettere al bambino di raggiungere un buon equilibrio, l’autostima è un giudizio di valore su se stessi che risponde alla domanda “io quanto valgo?”, mentre l’autoefficacia è un giudizio di valore sulle proprie capacità (“io quanto sono capace?”). È importante sapere questa differenza, perché altrimenti il bambino potrebbe rischiare di sottostimarsi: è normale che non si possa essere capaci in tutti gli ambiti, ma questo non significa che non si possa avere comunque una buona stima di sé.

È anche vero però che un buon livello di autostima, insegna al bambino a non scoraggiarsi, a poter incidere positivamente sugli eventi e, non da ultimo, a raccogliere o porsi nuove sfide.

L’autoefficacia quindi dipende largamente dall’autostima ma anche da una giusta consapevolezza delle nostre esperienze e competenze e di ciò che con queste possiamo fare.

 

Essere autoefficaci, quindi, aiuta i bambini (ma anche gli adulti) a non abbandonare di fonte alla prima avversità e a perseverare, sostenendo – di conseguenza – un altro concetto fondamentale per una buona crescita: la resilienza.

 

Ma quali sono i rischi di un basso senso di autoefficacia?

Bambini e adulti con uno scarso senso di autoefficacia sono più inclini a stati ansiosi e depressivi, coltiveranno basse aspirazioni e cercheranno di evitare le difficoltà e le sfide, ritirandosi dai giochi ancor prima di cominciare. In loro prevalgono atteggiamenti di rinuncia e saranno molto più propensi a chiedere aiuto anche su ciò che invece potrebbero tranquillamente fare da soli.

Questo non significa però che chi ha una buona dose di autoefficacia non debba mai chiedere aiuto: al contrario, occorre comprendere dove effettivamente si colloca il confine delle proprie capacità autonome e dove, di conseguenza, è bene affidarsi ad altri.

 

Nella quotidianità di un bambino, come possiamo promuovere l’autoefficacia?

È importante per i nostri figli, allievi, nipoti ecc. aiutarli a sviluppare questa qualità: in tale occasione vogliamo soffermarci soprattutto sulla possibilità del bambino di fare esperienza diretta della propria efficacia e del ruolo delle figure di riferimento per aiutarlo e incoraggiarlo, ma anche per essere dei modelli di autoefficacia.

 

Se torniamo alla storiella iniziale della bicicletta, notiamo che la narratrice è stata supportata da almeno tre delle fonti citate da Bandura. Per la prima, possiamo supporre che avesse già fatto esperienza personale e diretta delle sue capacità, ma dalla storia questo non si evince. Per quel che riguarda il suo stato fisiologico ed emotivo, è probabile che il pomeriggio al parcheggio delle PTT l’avesse stancata e provata molto e l’avesse spinta ad arrendersi. Giorni dopo però le cose cambiano: si trova in un ambiente diverso e giocoso, dove sicuramente era riposata e positiva.

Evidente poi la fonte numero 3: con i suoi occhi vede pedalare altri bambini in bicicletta (persino più piccoli di lei). Infine, la persuasione sociale: il papà l’aveva incoraggiata, dicendole che ce l’avrebbe fatta anche lei. La piccola, per finire, ha quindi potuto fare questa esperienza di successo, che ha confermato la sua autoefficacia. Una lezione importante che lei stessa scopre e riscopre anche da adulta.

 

In conclusione, quindi, bambini che sperimentano fin da piccoli le proprie potenzialità e il proprio successo, affronteranno nel presente e nel futuro, compiti difficili con motivazione, si porranno magari obiettivi più ambiziosi, impegnandosi per raggiungerli. In definitiva, saranno persone più serene e felici.

Avere coscienza della propria capacità di generare soluzioni, analizzare problemi e sapere di poter apprendere, aiuta ad affrontare sfide e compiti per i quali non vi è ancora un’esperienza diretta o consolidata. D’altronde, cos’è la vita se non un susseguirsi di novità e situazioni impreviste?

 

 

 

Di recente, la nostra collaboratrice di direzione – Cinzia Valletta – ha scritto un pensiero che ci riporta proprio all’autoefficacia: alle prese con un problema al suo camper, durante un viaggio in solitaria, si rende conto che può attingere alle sue risorse interne, che magari non sapeva neppure di avere:

“In questi giorni mi accorgo che il concetto di autoefficacia è importante a qualsiasi età, anche alla mia. Mi sono trovata confrontata con vari problemi tecnici, per i quali ho dovuto fare capo al mio senso pratico, alla mia capacità di ragionare, alla fiducia nelle mie risorse e, cosa importante, alla consapevolezza dei miei limiti. E quindi alla capacità di chiedere aiuto. Un esercizio quest’ultimo, che ha richiesto una buona dose di umiltà. Tutto questo è costante esperienza di autoefficacia. Pappa reale per l’autostima e il proprio benessere. Anche a 60 anni”