Come aiutare i più piccoli (e noi stessi) – a gestirle in modo sereno?

 

In questo periodo di stop forzato, ci ritroviamo improvvisamente ad avere molto più a che fare con il mondo interno, fatto di pensieri, sensazioni ed emozioni. Il corpo è lo strumento che tutte queste cose usano per poter comunicare con noi: ecco così che a volte le guance arrossiscono se ci imbarazziamo, ci viene il mal di pancia prima di una presentazione, gara o esame importante, o può venire da piangere se si sente la nostalgia di un genitore anziano o di un amico che non si vede da tanto, …

In questo momento siamo confrontati con un stravolgimento della nostra vita, il che genera in noi pensieri, emozioni e sensazioni magari sconosciuti: i pensieri possono divenire troppo confusi, le emozioni troppo forti e le sensazioni provate troppo faticose da sopportare. E ciò coinvolge tutti i membri della famiglia, grandi e piccoli: la difficoltà dell’adulto nel capire e nell’esprimere i propri vissuti interni somiglia perfettamente alla fatica vissuta dai bambini.

 

Da un sondaggio svolto tra i miei piccoli pazienti (dai 6 agli 11 anni), questo risulta davvero molto evidente: la paura, la noia, la rabbia, la felicità … può essere sorprendente comprendere quanto le emozioni vissute dai bambini e dai ragazzi, assomiglino alle nostre. Per cui, la soluzione più efficace per gestire determinate emozioni, è una sola: condividere. Nascondere e camuffare non serve: parlare ai bambini – usando un linguaggio appropriato – confrontando le nostre emozioni con le loro, sarà di sollievo per entrambe le parti e ci renderà più vicini e forti.

 

Ecco quindi una breve carrellata delle emozioni/sensazioni più comuni tra i bambini e qualche consiglio per aiutare loro (e noi stessi) a viverle in modo sereno.

Paura

di non uscire più di casa

Questa situazione nuova e destabilizzante sta mettendo in forte difficoltà le strategie che il nostro cervello è solito trovare per risolvere problemi. I bambini imparano presto a trovare soluzioni funzionali: il pianto per richiedere aiuto e consolazione, l’esplorazione per “conoscere il mondo”, il linguaggio per comunicare… in questa nuova condizione, tuttavia, c’è il rischio che il bambino perda proprio il senso di efficacia del suo processo di risoluzione dei problemi e del suo agire: l’adulto può andargli incontro, validando le sue percezioni.

Non possiamo promettere al bambino che tutto finirà presto (non lo sappiamo!), né possiamo promettere che tutto tornerà subito esattamente com’era (non siamo a conoscenza neppure di questo).

Al bambino non servono bugie di sorta, bensì strumenti utilizzabili nel “qui e ora”: permettiamogli di dire che è spaventato. Permettiamo anche al genitore di condividere tale timore, potendo esprimere al proprio bambino che anche lui/lei è preoccupato/a, ma che nonostante tutto rimane fiuducioso e ottimista, perché dottori e scienziati del mondo intero stanno lavorando alacremente per poter risolvere tale situazione.

Poter dire ad un bambino che anche i grandi hanno paura, gli rimanderà il concetto che tale emozione è normale, che capita a tutti e che dunque è gestibile.

 

che si ammalino le persone amate

come dicevo poco prima, al bambino va detta la verità. In modo semplice e in modo accogliente. Non si può negare che la gente si ammali, né che qualcuno possa morire. I notiziari sono pieni di queste informazioni. Se il bambino dunque dovesse condividere tale preoccupazione è importante validarla, riconoscendola e accogliendola: è utile dire al bambino che i grandi sono tutti molto attenti per poter proteggere sé e gli altri. Questo virus è dispettoso, ma anche facilmente allontanabile (per esempio lavando bene le mani): tutti, nel nostro piccolo, abbiamo il potere di rendere il virus meno potente. Si potrà dire che tutte le mamme e i papà proteggono al meglio i loro bambini e allo stesso modo proteggono loro stessi.

Scegliamo accuratamente le notizie ufficiali condivisibili con i bambini: facciamo in modo che il bambino non venga esposto da solo a comunicazioni mediatiche sulla situazione attuale. È importantissimo che un genitore faccia da tramite per supportare e per spiegare informazioni poco chiare o che possono fare paura.

A volte per un grande è difficile e doloroso accogliere i timori di un bambino: quest’ultimo ha il bisogno evolutivo di rispecchiamento e riconoscimento. Ciò lo renderà più sicuro e più forte.

Negare o sminuire la paura di un bambino (e di un adulto!) vorrà dire restituire all’altro un senso di inadeguatezza. È importante che un bambino possa sviluppare un adeguato monitoraggio delle proprie emozioni: svilupperà autoconsapevolezza, empatia, controllo degli impulsi e automotivazione.

Paura non vuol dire debolezza. I bambini con un attaccamento sicuro imparano a riconoscere ciò che possono gestire da soli e ciò per cui è invece necessario chiedere aiuto.

 

Noia

di stare a casa

concediamo di esprimere anche tale sensazione. Rendiamo la routine giornaliera il più possibile prevedibile senza però irrigidirci troppo. A volte trasgredire è necessario: proviamo a tollerare il disordine generato dal giocare con la palla in casa o tolleriamo che pasticciando con le tempere ci si sporchi i vestiti. È innegabile che il bambino abbia bisogno di uscire e giocare all’aria aperta, nonché di farlo anche con altri bambini: per fortuna – in Svizzera – una passeggiata in solitaria con la propria mamma e/o con il proprio papà non è vietata e sicuramente sarà di grande giovamento per tutti. Per quel che riguarda invece il fattore socializzazione, ricordiamo al bambino che tornerà anche il momento per questo: adesso è importante preservare la salute di tutti, rispettando la distanza sociale. I bambini sono capaci, dobbiamo dare loro la giusta fiducia. E i grandi, sono altrettanto bravi?

 

Rabbia

per la situazione

il senso di ingiustizia e frustrazione è grande. C’è un vantaggio però: quello che stiamo vivendo accomuna tutti. Simpatici e antipatici, alti e bassi, maschi e femmine… siamo tutti nella stessa “squadra”. Essere arrabbiati dunque va bene: troviamo un bel cuscino morbido per sfogarla e lasciarla uscire! Se fossimo gli avvocati della rabbia, cosa diremmo per difenderla? Affermeremmo che serve a cosa? Scopritelo coi vostri bambini… Chissà, potrete magari scoprire che a volte la rabbia, quando arriva, fa capire quanto importante fosse per voi una vecchia abitudine che ora non potete svolgere: una volta identificato lo scopo dell’emozione, sarà più facile trovare un modo funzionale per esprimere tale sentimento!

 

Attenzione però: la rabbia non vuole dire violenza! I comportamenti violenti non sono mai e in nessun caso accettabili, né che si tratti di violenza fisica, né verbale. A tale proposito, leggi gli approfondimenti:

Felicità

per le piccole cose, come il sole.

È quanto mi ha detto un mio piccolissimo paziente. Ed è con questo semplice gesto di gratitudine che vorrei concludere: l’invito è quello di cercare almeno una cosa al giorno per cui essere contenti. Mi rendo conto che non è sempre facile e a volte bisogna proprio sforzarsi. Potrebbe aiutare un semplice foglio di carta, sul quale ogni sera scriveremo tre cose – seppur piccine – per cui siamo grati oggi. Ci aiuterà a vedere la luce anche nelle giornate più buie.

 

 

«Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali» miagolò Zorba.
La gabbianella spiegò le ali. I riflettori la inondavano di luce e la pioggia le copriva di perle le piume. L’umano e il gatto la videro sollevare la testa con gli occhi chiusi. «La pioggia. L’acqua. Mi piace!» stridette. «Ora volerai» miagolò Zorba. «Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono» stridette Fortunata avvicinandosi al bordo della balaustra.
«Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo» miagolò Zorba.

Da “La gabbianella e il gatto”, di Luis Sepúlveda

 

Seguiamo il consiglio di Zorba: ascoltiamo e raccontiamoci le emozioni. Vediamo che succede!

 

Marianna Esposito,
Vice responsabile programma Le Parole Non Dette e psicoterapeuta.