Abbiamo fatto una chiacchierata con Claudia (nome di fantasia) che ha accettato di raccontarci il suo vissuto: Claudia da bambina ha subito un’educazione violenta da parte di sua madre e con lei abbiamo cercato di comprendere cosa questo abbia significato, cosa le abbia lasciato addosso e come sia stata in grado di rimanere resiliente. La ringraziamo moltissimo per questa preziosa testimonianza.

Raccontaci delle tua vita da bambina e da adolescente: cosa voleva dire per te subire un tipo di educazione violenta da parte di tua mamma? Quali sono i problemi che ti creava? Avevi la possibilità di parlarne con qualcuno o c’era perlomeno una figura che ti faceva sentire protetta?

La mia infanzia è stata caratterizzata da più forme di violenza, in parte “volontaria” come le botte, e in parte involontaria, come per esempio il fatto di essere più volte spostata da un posto all’altro senza informazioni e preavvisi. Ma ho vissuto anche momenti molto belli nei periodi in cui ero affidata ai miei nonni che mi hanno sempre viziata e coccolata. Paradossalmente ho un ricordo positivo anche del periodo che ho trascorso in collegio. Forse perché li eravamo tutti uguali, tutti abbandonati dai nostri genitori, per un motivo o per l’altro.

La cosa peggiore dell’essere picchiata da mia madre, era il fatto di non avere un posto sicuro dove stare, come invece dovrebbe essere per un bambino. Casa mia era un luogo in cui mi sentivo in pericolo: qui avvenivano la maggior parte delle minacce. Quindi avevo sempre quella sensazione di sentirmi persa, di non disporre di un rifugio, un luogo di pace e tranquillità dove poter giocare, trascorrere il mio tempo, dove crescere.

L’altro aspetto veramente pesante, era la tensione continua: ero costantemente in allerta perché bastava una parola, un gesto, una domanda per scatenare le ira di mia madre e prenderle o, ancora peggio, che fosse mio fratello a prenderle per colpa mia. Non avevo nessuno con cui parlarne. O meglio, forse avrei potuto parlarne con un docente, ma non mi è mai venuto in mente di farlo. A volte ci lamentavamo con mio padre, che per altro sapeva e cercava di mediare come poteva e spesso litigava con mia madre per questo. La mia, o nostra, fortuna è stato proprio quella di avere un padre non violento. Forse avrebbe potuto essere più determinato nel contenere mia madre, ma di sicuro è grazie a lui che abbiamo imparato ad essere genitori amorevoli e affettuosi. Le coccole, gli abbracci, l’affetto li abbiamo ricevuti da lui. Mia madre, a causa di suoi disturbi della personalità, non è mai stata in grado di rivolgerci gesti di affetto spontanei.

Vorrei anche dire che ciò che più mi addolora, è di non aver potuto sapere cosa significasse amare la propria madre. Perché per me non era possibile amare la persona dalla quale più mi sentivo minacciata, oltre al fatto che non si era proprio creato un legame tra noi due. Per molti anni questo mi ha anche impedito di capire del tutto cosa potessero provare le mie figlie per me. Sapevo quanto io le amassi, ma la mia esperienza negativa di figlia, non mi permetteva di percepire del tutto il loro amore per me. Questa è la privazioni più dolorosa causata dalla mia esperienza di bambina picchiata.

 

La tua vita da giovane donna e poi da mamma: c’è stato un momento dove ti sei resa conto che quanto è accaduto non era giusto, un altro dove ti sei detta “io non sarò mai così con le mie figlie”, uno dove hai pensato che avevi bisogno di aiuto o dove magari l’hai richiesto, e uno ancora dove hai iniziato ad occuparti proprio di infanzia e buon trattamento …

Che non fosse giusto quanto abbiamo vissuto io e mio fratello, credo di averlo capito quando ancora ero bambina. Mi rendevo conto che mia madre era eccessivamente severa e violenta. Questo è il vantaggio, se così possiamo definirlo, della violenza fisica rispetto a quella psicologica o emotiva. La violenza fisica è materiale, è visibile e riconoscibile anche per un bambino. Può scatenare rabbia e questo è, a mio avviso, positivo. Purtroppo dove c’è violenza fisica ci sono sempre anche violenza psicologica ed emotiva. E queste sono quelle che hanno lasciato le ferite più profonde. Ho iniziato già da giovanissima a interessarmi alla psicologia e all’educazione e, quando sono diventata mamma (molto presto), ho iniziato a leggere molti libri su questi argomenti. Non ho picchiato le mie figlie, ma purtroppo non ho potuto evitare del tutto atteggiamenti poco rispettosi. Certe parole, certe frasi e anche certi comportamenti si manifestavano perché non avevo altre matrici dentro di me. Nei momenti di forte coinvolgimento, non bastavano le nozioni apprese dai libri, agivo sull’impulso delle emozioni e magari gridavo o minacciavo.

Ho iniziato ad occuparmi di buon trattamento attraverso il lavoro e, come ricordo ancora di aver detto alla mia prima insegnante, per me è stata una rivelazione. Come se da sempre avessi aspettato proprio quella cosa lì. Era come un corrimano illuminato in una notte di nebbia. Finalmente avevo una traccia da seguire, una traccia basata sul rispetto. Non so se cercassi quell’aiuto in risposta al mio vissuto. Di sicuro era un tentativo di avere con le mie figlie una relazione migliore di quella che avevo io con mia madre.

 

La tua vita oggi rispetto a quanto ti ha lasciato il passato: ti guardo e vedo una donna equilibrata, che ha dedicato la sua vita a formarsi proprio sull’aspetto della buona educazione e della buona comunicazione.

Bè, come detto, il fatto di avere avuto dei nonni molto amorevoli nei miei confronti (tra l’altro i nonni materni), nonché un padre affettuoso e sempre disponibile al dialogo, è stato di grande aiuto. Sicuramente queste figure, come molte altre che ho avuto la fortuna di incontrare e riconoscere, sono state fondamentali per lo sviluppo della mia resilienza. Poi certamente la mia volontà di elaborare, di migliorare, ma anche la consapevolezza di avere delle ferite da guarire, dei nodi da sciogliere, mi ha spinto a cercare aiuto. Non ho mai smesso di formarmi e ogni formazione rappresentava anche un’occasione per elaborare il mio vissuto personale. Ma il percorso più importante è senz’altro stato quello della maternità. Triplice maternità. Amare le mie figlie, dare loro tutte le attenzioni che io non avevo ricevuto da mia madre, creare con loro un legame profondo, dare loro una casa e una famiglia accoglienti, è stato un modo per prendermi cura anche della mia bambina interiore. Potrei quasi dire di aver cresciuto quattro figlie. Una ero io stessa.